Da qualche anno il Museo della Montagna di Macugnaga si è arricchito di un’esposizione indubbiamente originale, dedicata al contrabbando di montagna. È stata la prima del genere allestita in Italia.
Questa è una storia secolare, scritta su due fronti contrapposti: gli spalloni e i finanzieri (ma anche i doganieri svizzeri).
I primi documenti risalgono al ’600, quando i "frodatori" operavano fra la Lombardia e il Piemonte, minacciati di morte dalle grida dei governatori spagnoli. Nei secoli successivi si contrabbanda febbrilmente anche in montagna, fra l’Ossola. il Vallese e il Ticino. E in ambedue le direzioni.
Alla fine dell’Ottocento è il "tempo del sale". Curiosamente si tratta del sale venduto dall’Italia alla Svizzera, che - come per il tabacco - non lo gravava di accise. Quindi diventa più conveniente del sale venduto nei negozi di "Sale e Tabacchi". Per bloccarne l’introduzione il ministero delle finanze adotta tre misure: colora di rosa il sale che viene esportato in Svizzera, erige la "ramina" (una robusta rete, lunga alcuni chilometri sul confine comasco e varesino), e invia sul Verbano e sul Lario delle torpediniere. Uno di questi natanti naufraga al largo di Cannobio, a causa di una terribile mareggiata. È l’8 gennaio 1896. Dodici morti, tra finanzieri e marinai. La più grave tragedia di queste lotte senza esclusione di colpi.
Nel 1914 si registra invece la morte di 9 spalloni in Val Bognanco (Ossola), travolti da una valanga. I loro corpi vengono recuperati soltanto in primavera, allo squagliarsi delle nevi. Analoga tragedia nel 1932, a Crego, in valle Antigorio, con otto vittime.
Il contrabbando è particolarmente intenso negli anni delle crisi economiche e durante le guerre. Tra il 1943 e il 1946 la merce più trafficata è il riso, introdotto abusivamente dall’Italia in Svizzera. Fra mille pericoli le donne delle valli italiane scendono ad acquistarlo nelle pianure vercellesi e novaresi. Dicono di andare alla "raf", che era la sigla delle forze aree inglesi. Poi lo cambiano con zucchero e caffè svizzero.
In quegli anni oltre 4000 spalloni (fra cui molte donne) vengono fermati nel canton Ticino dai doganieri elvetici, che però ammettono di averne catturati al massimo un terzo. Quello è anche il tempo delle smercio delle sigarette, come nel dopoguerra quando però il contrabbando romantico è sostituito da quello praticato da bande senza scrupoli.
Naturalmente sono sempre viaggi notturni, lunghi e pericolosi, come "amanti dell’Orsa Maggiore", anche in pieno inverno, fra cumuli di neve e valanghe insidiose.
Al museo di Macugnaga viene ricostruita la storia di questa attività illecita per ricordare una pagina di storia comune a tutte le valli di confine.
Oggi sui valichi sperduti del confine italo-svizzero non passa più nessuno con la bricolla in spalla. Restano poche fotografie. La più vecchia l’hanno scattata a Saas Almagell all’inizio del ’900 e vi appaiono degli spalloni giovanissimi insieme ad altri molto anziani. Figura lacere e smunte. Tutti scheletriti dalla fame.
Restano anche le vecchie canzoni, riproposte dai cori di montagna: "Noi siam contrabbandieri/ di riso e di sale./ Se il colpo ci va male/ a Bellinzona ci tocca andar". Oppure: "Eravamo in cinque fratelli/ abbiam deciso di far contrabbandieri,/ su e giù per i sentieri/la bricolla abbiam portà".
Da quarant’anni a Macugnaga il 17 di agosto si va al Passo Mondelli, defilato e sconosciuto, che sfiora i 3000 metri di quota. Con una Messa si ricordano i morti della bricolla. Un piccolo altare di pietra sulla cresta di confine con la valle di Saas Fee contiene dodici fotografie. Ma insieme a loro si prega anche per i finanzieri e per i doganieri svizzeri, morti nell’adempimento del loro dovere.
Ormai la "guerra" è un ricordo lontano, che rivive soltanto nella memoria dei protagonisti. Tanti aneddoti, legati soprattutto all’epoca del contrabbando romantico. Come quello del valsesiano Leo Colombo, fermato da due militi della "Confinaria" negli anni Trenta. Uno dei finanzieri si frattura una gamba e lui se lo carica in spalla, salvandogli la vita. Per ringraziamento gli riconsegnarono la bricolla.
Dopo l’8 settembre 1943, i contrabbandieri diventano "passatori", accompagnando all’elvetica "frontiera della libertà" ebrei, prigionieri alleati, perseguitati e fuggiaschi di ogni nazione.
"Non chiamiamoli contrabbandieri, ma spalloni", dice don Severino Cantonetti, parroco di Castiglione (Valle Anzasca), il paese che viveva di contrabbando. "I contrabbandieri sono quelli che viaggiavano comodamente sulle macchine, in pianura. I nostri montanari lo facevano per sopravvivere. Con grandi fatiche e pericoli".

Pubblicato con l'autorizzazione dell'autore (Teresio Valsesia)