Nel febbraio di cinquant'anni fa il Monte Rosa è uscito dal limbo alpinistico e mediatico nel quale era emarginato da decenni, riaffacciandosi nella scena internazionale grazie a due importanti imprese invernali: le prime ascensioni della Est della Dufour e della Via dei Francesi, alla Gnifetti. I protagonisti sono stati sei alpinisti locali: le guide di Macugnaga Luciano Bettineschi, Felice Iacchini, Michele Pala e Lino Pironi (per la Dufour, il 5 e 6 febbraio 1965), e Armando Chiò di Masera e Dino Vanini di Baceno per la Gnifetti, venti giorni dopo.
Le due ascensioni sono state accomunate da altrettante bufere che le hanno dato una connotazione drammatica, suscitando il timore che sarebbero potute finite in tragedia. È stata invece la conferma del valore e della resistenza fisica dei protagonisti.
Sulla Dufour il quartetto di guide macugnaghesi fu costretto a un durissimo bivacco sulle roccette terminali della cima più alta del Rosa. Vento violentissimo e temperatura a 40 sotto zero. Il dato, stimato da Luciano Bettineschi, ha trovato conferma in un articolo del giornalista svizzero Guido Tonella che aveva riportato la temperatura registrata quella notte al Plateau Rosa, ossia mile metri più in basso: -30 gradi. Michele Pala teneva dei collegamenti con Macugnaga attraverso una delle prime radio ricetrasmittenti, che però nel pomeriggio del 5 febbraio - con lo scatenarsi della bufera - rimase muta. Fortunatamente la paura è svanita il giorno seguente quando lui e i suoi compagni furono avvistati mentre scendevano sul versante di Zermatt dal famoso pilota dei ghiacciai” Hermann Geiger, in ricognizione sul suo minuscolo Peiper. Nella cittadina svizzera i festeggiamento per il centenario del Cervino furono anticipati con quelli per le guide italiane che avevano vinto la Dufour.
Anche Chiò e Vanini subirono la stessa sorte fra i 25 e il 26 febbraio mentre erano impegnati sulla via più lunga delle Alpi: 2300 metri di dislivello, sempre sulla Est del Rosa, per raggiungere la capanna Margherita lungo l’itinerario aperto nell’estate del 1931 dai francesi Jacques Lagarde e Lucien Devies. Nonostante il turbine, il giorno seguente sono riusciti a raggiungere il rifugio e il 27 scendevano ad Alagna. “Armando Chiò riportò un gravissimo congelamento - scrisse l’accademico Mario Bisaccia – ma con una volontà e una preparazione morale eccezionale continuò alla testa della cordata sotto l’imperversare del vento”. Dovettero amputargli le dita dei piedi.
Sabato 14 febbraio alla Kongresshaus i superstiti si sono ritrovati ricordando la storia per non perdere la memoria delle due invernali. Non erano Bettineschi, Pironi e Chiò, scomparsi negli scorsi decenni, né Iacchini e Pala , impossibilitati a presenziare. C’era però il figlio di Chiò, Stefano. La festa ha compreso anche Walter Berardi che, 25 anni più tardi, ha compiuto la prima invernale solitaria della Dufour. Anche per lui una targa più che meritata.
Teresio Valsesia
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