Per Guido Rey l’arrivo in un rifugio era una delle più belle emozioni dell’alpinista. Oggi è spesso una semplice operazione di routine. Più che alla storia (tutti i rifugi ne hanno una) e al fascino degli alpinisti (magari anche grandi) che ci hanno preceduto, pensiamo al menù della cena, alla doccia calda, al posto-letto, il più lontano possibile dai russatori.
Quanto ai custodi, sono considerati spesso dei venali ristoratori trapiantati in quota per ragioni di cassetta. Occhio ai prezzi! Occhio allo sconto CAI, nel timore che ce lo sgraffignino sotto il naso!
Stressati dalla fatica e nevrotici per l’affollamento, aborriamo il caos di certi flussi agostani, rimpiangendo la grata solitudine di lontani bivacchi ospitali.
Alla sera, del canto di vecchi o nuovi motivi montanari non c’è più traccia. Salvo rare eccezioni, naturalmente. Impera il chiacchericcio.
Non ci sono nemmeno più i custodi di una volta: il Chiara alla Gnifetti, o De Tassis al Brentei, tanto per ricordarne due.Ma se ne potrebbero aggiungere altri storici e l’elenco sarebbe lungo. Molti dei guardiani attuali sono giovani. magari trapiantati in montagna dalla città, per amor dell’Alpe (sempre in memoria di Guido Rey).
So di una Sezione che mesi fa cercava un custode per un rifugio a quota 3.000: ricevette decine di candidature, anche le più utopiche e assurde. Buon segno.
Avrete capito che mi schiero dalla parte dei custodi, quali che siano, purché onesti e diligenti, come sono in effetti i più. Mi sembra che nel talora il nostro egoismo e la nostra supponenza siano ben peggiori di qualche inevitabile carenza dell’ospitalità.
Conosco tanti giovani custodi esemplari che meriterebbero un minimo di riguardo e di apprezzamento. Troppo spesso ci si dimentica che vivere stabilmente in quota comporta una fatica e un impegno aggiunti. Quindi certe critiche "tranchant" non fanno onore ai giudici estemporanei e superficiali.
Teresio Valsesia